Il Ponte Morandi. La banalizzazione delle idee e il senso della sperimentazione.
Tra tutte le opinioni circolate in questi giorni sul crollo del Ponte sul Polcevera di Riccardo Morandi, ci sono un paio di affermazioni particolarmente infelici. Ciò che le rende così infelici è, oltre la loro infelicità intrinseca, il fatto che a pronunciarle non sia stato un commercialista, ma un ingegnere, professore ordinario di costruzioni in cemento armato.
In sostanza si è affermato che il Ponte sul Polcevera di Riccardo Morandi è un “fallimento dell’ingegneria” e, come corollario rafforzativo di questa tesi, che “un ponte deve durare centinaia di anni (…) se noi pensiamo ai ponti in muratura, hanno 200 anni e nessuno li ha mai toccati”.
Proverei a liquidare subito la questione sui ponti in muratura
Alcuni ponti romani sono durati millenni, quelli in cemento armato invece dopo 50 anni scadono e cadono. Esattamente come il telefono SIP anni ’70 che durava all’infinito, mentre il mio smarthphone, comprato ad inizio 2017, è già arrivato al capolinea. Stiamo quindi forse andando indietro nei trasporti e nelle telecomunicazioni, invece che avanti?

Figura 1 – Un telefono SIP e uno Smartphone
Direi di no. Ogni evoluzione comporta dei benefici, ma è sempre accompagnata da effetti collaterali. Quel che conta, nel giudicare un passaggio evolutivo, è che il processo sia a somma positiva, ovvero che i benefici siano maggiori degli effetti collaterali. Un ponte romano poteva superare ostacoli di massimo qualche decina di metri (la massima arcata del Pont Du Gard, per esempio, ha luce 24 metri). La luce dei ponti moderni si misura in chilometri (il Ponte di Akashi Kaikyo ha luce che arriva a 2 km). Le tecnologie che ci permettono di costruire ponti chilometrici, acciaio e cemento armato, sono meno durevoli (per ora) della muratura. Dovremmo comunque essere tutti molto contenti.

Figura 2 – Il Ponte Pietra di Verona

Figura 3 – Ponte di Akashi Kaikyo
Tornando alla questione di cui si voleva parlare, il Ponte Morandi di Genova
L’affermazione che l’ingegner Riccardo Morandi sia stato uno dei più brillanti progettisti di opere di cemento armato credo sia una realtà storica, più che un’opinione personale. Questo non vuol dire che non se ne possa discutere. E’ bene, di tanto in tanto, rimettere in discussione una personalità storica, sia questa Sciopione l’Africano, Guglielmo Marconi o appunto Riccardo Morandi.
Quindi ci si chiede, a proposito del ponte sul Polcevera, Morandi ha fallito?
Il ruolo dei pionieri, il tema del pionierismo, delle avanguardie, della sperimentazione.
Le cose di oggi sono abbastanza diverse da quelle di ieri. Questo perché ogni tanto a qualcuno viene fuori un’idea che forse potrebbe essere utile al progresso. L’idea può avere varie forme: a volte è un teorema, altre un disegno, un libro, un’invenzione, una frase. Mi vengono in mente i Kraftwerk.
I Kraftwerk. Li conoscete? Vi piacciono? Che li conosciate o no, che vi piacciano o meno, se di tanto in tanto ascoltate un po’ di musica alla radio probabilmente siete in debito con loro. Questo perché non si passa da Claudio Villa a Luca Carboni, dai Kinks ai Coldplay, dai Television agli Strokes, senza avere niente nel mezzo.
Bene, nel mezzo ci sono i Kraftwerk.
Potevamo definirli pionieri negli anni 70, ma oggi sarebbe più corretto chiamarli traghettatori. Traghettatori come tutti i pionieri che riescono nella loro opera. In quanto traghettatori, il ruolo fondamentale di queste figure non è solo la finalizzazione, ma l’aprire una breccia verso il futuro.
C’è chi apprezza la musica dei Kraftwerk, trovando ancora piacevole l’ascolto di Trans-Europe Express del 1977, album che dalla stragrande maggioranza dell’umanità è completamente sconosciuto e che magari in ogni caso non sarebbe apprezzato. L’importanza di Trans-Europe Express sta principalmente nell’influenza che questo album ha avuto sulla musica a venire. L’album potrebbe sparire ora, istantaneamente, non essere più ascoltabile, e non sarebbe una grande perdita, perché il suo ruolo lo ha già fatto: ha suggerito un suono o una frase musicale a David Bowie, Depeche Mode, Daft Punk, Madonna, Pop X ed ha influenzato tutta la musica pop degli ultimi 40 anni.

Figura 4 – Kraftwerk – The Man Machine (1978)
Tornando al Ponte sul Polcevera
Nel mondo della scienza, in generale, e dell’ingegneria, in particolare, il discorso è analogo all’ambito musicale. Non si passa dai ponti romani (luce 20 metri) ai ponti sospesi di oggi (luce 2000 metri), senza passare anche dal Ponte sul Polcevera di Riccardo Morandi, che è appunto un’opera sperimentale. Sperimentale.
Qualcuno potrebbe obiettare “Si ma qui si parla di vite umane, non è che si può sperimentare sulla pelle delle persone!”. E invece, proprio perché sono in ballo le vite umane, è necessario sperimentare per raggiungere soluzioni sempre più efficienti e sicure, scongiurando così il vero fallimento dell’ingegneria. Nell’ingegneria la sperimentazione deve essere fatta anche sul campo, non è possibile fare altrimenti.
“Quindi va tutto bene? Nessun problema? 43 vittime civili sono contemplate come perdite fisiologiche in nome del progresso?”
No, assolutamente no. Proviamo a capire cosa è andato storto.
Perché il Ponte sul Polcevera era un’opera innovativa
Il Ponte sul Polcevera era un’opera sperimentale estremamente innovativa per l’epoca nella quale fu realizzata. Ricordiamo che il Ponte fu concepito e realizzato ai tempi del telefono SIP, quando i computer occupavano una stanza intera e nessuno aveva mai visto una fotografia della Terra nella sua interezza (la prima verrà scattata nel 1968 durante la missione Apollo 8).

Figura 5 – Un calcolatore degli anni ’60
Nella realizzazione del Ponte sul Polcevera bisognava confrontarsi, oltre che con la tecnologia dell’epoca piuttosto elementare, con le condizioni al contorno molto particolari:
- L’opera doveva essere inserita in un fitto tessuto urbano ed industriale.
- Il budget non era molto alto e l’acciaio costava caro.
- L’ambiente marino si presentava chimicamente molto aggressivo.
La soluzione proposta da Morandi si poneva l’obiettivo ambizioso di risolvere tutti questi aspetti.
Molti hanno detto che il Ponte Morandi “è bello, ma costa troppo mantenerlo”. Questa affermazione potrebbe avere un effetto fuorviante, in quanto accosta il lavoro di Morandi a quello di altri progettisti, molti dei quali a noi contemporanei, famosi per gli elevati costi di realizzazione delle loro opere.
Al contrario, Morandi, come molti tra i grandi progettisti dell’epoca, aveva come obiettivo primario il risparmio. Il risparmio di materiale per progettisti come Riccardo Morandi era assunto a criterio di valenza estetica, oltre che morale. Risparmio di materiale significa efficienza strutturale, ovvero togliere il materiale dove non serve e metterlo dove serve.

Figura 6 – Padiglione sotterraneo del salone dell’auto di Torino – Riccardo Morandi
Risparmiare materiale quindi non vuol dire ridurre la sicurezza di una struttura: a parità di sicurezza strutturale, una struttura efficiente risulta meno costosa e, soprattutto, a parità di costo di costruzione, una struttura efficiente risulta più sicura.
Veniamo alla durabilità ed ai costi per la manutenzione, che sono il cuore della questione. La soluzione proposta da Morandi negli anni ’60, che vedeva la prima applicazione di stralli in calcestruzzo precompresso, aveva come obiettivo principale proteggere l’acciaio ed aumentarne così la vita utile con il minimo costo.
Nasceva così l’idea del cavalletto bilanciato.
La banalizzazione delle idee
In questi giorni, su siti web, forum e gruppi Facebook relativamente specializzati, si è visto giudicare il lavoro di Morandi dalla forma esteriore, come si farebbe con un’opera di Pier Luigi Nervi, mentre è noto che il lavoro di Morandi è tutto interiore.
Davanti all’immagine di un’aviorimessa di Nervi si tende ad osservare un rispettoso silenzio. Davanti alle opere di Morandi invece, visivamente più semplici, si tende ad acquisire una certa fiducia nelle proprie abilità di giudizio statico e a cedere alla tentazione di esprimere la propria opinione.

Figura 7 – Copertura dello Stadio Berta di Firenze, carpenteria e armatura – Pier Luigi Nervi

Figura 8 – Ponte sul Cerami, carpenteria e armatura – Riccardo Morandi
Credo che giudicare un progetto di Morandi partendo dalle caratteristiche geometriche, sia un po’ come, proseguendo il parallelismo musicale, giudicare l’opera di Jimi Hendrix leggendo un libro di testi delle sue canzoni: non ha alcun senso.
Bisogna invece tenere in conto che, come Nervi era un plasmatore di forme, Morandi lo era di forze. Per giudicarne l’opera ingegneristica è necessario scendere molto in profondità.
In questi giorni, invece, si è cercato di inquadrare l’idea del cavalletto bilanciato all’interno di alcune banali trovate: la simmetria del cavalletto, che lo rende autostabile, il ricoprimento di calcestruzzo degli stralli che avrebbe protetto i cavi di acciaio.
Una volta ho ascoltato un’intervista ad uno scrittore che si chiama Paolo Nori: l’intervistatore gli chiedeva di che cosa parlasse un suo tal romanzo e lui rispondeva che il suo tal romanzo parlava di quello che c’è scritto dentro, dall’inizio alla fine.
Allo stesso modo, si potrebbe dire che l’idea di Morandi del cavalletto bilanciato è il cavalletto bilanciato, dall’inizio alla fine.
Qualunque tentativo di sintesi, specie se non prende in considerazione le questioni relative alla precompressione e alla messa in opera, è una banalizzazione più che una semplificazione.
Una volta alla radio trasmettevano un dibattito sui Beatles: un giornalista sosteneva che il segreto delle canzoni dei Beatles fosse la loro struttura, nel senso di strofa-ritornello-strofa-ritornello piuttosto che strofa-ritornello-variazione-ritornello, e cose di questo tipo. Insomma, melodia ed armonia, arrangiamenti, tutta la vera sostanza passava in secondo piano.
Questo capita quando i giornalisti musicali non hanno nessuna nozione di contrappunto, oppure quando un certo argomento si è saturato e allora tocca andare a scavare il fondo del barile, per provare a trovare una qualche novità vendibile.
Però su Morandi non mi sembra sia una questione di saturazione.

Figura 9 – Ponte sul Lago di Maracaibo – Tavola di progetto (Riccardo Morandi)
Una delle critiche più diffuse, tra le tante mosse al Ponte Morandi in questi giorni, è la presenza di pochi stralli. Molti architetti e ingegneri hanno detto che “l’errore sta nella presenza di un’unica coppia di stralli e che se ci fossero stati più stralli, anche in caso del collasso di uno di questi, la struttura sarebbe rimasta in piedi”. Insomma si accusa la struttura di non avere abbastanza robustezza.
Si potrebbe rispondere a questa osservazione facendo notare che il Viadotto di Millau ha sì 22 stralli per campata, ma un unico pilone: se collassa un pilone, collassa l’intera campata. Il Ponte di Calatrava di Reggio Emilia ha un solo arco: se collassa la sezione dell’arco, crolla tutta la struttura. La bellissima passerella pedonale di Majowiecki sulla A13 (Bologna-Padova) ha una sola coppia di puntoni: se collassa un puntone, collassa tutta la passerella.
Evidentemente è più una questione di sicurezza strutturale, piuttosto che di robustezza. Nel caso specifico, lo strallo del Ponte sul Polcevera non è collassato per un evento eccezionale, ma perché banalmente il fattore di sicurezza, esasperato, il giorno 14 agosto 2018 alle ore 11,36 è sceso sotto l’unità.
Qualcuno potrebbe comunque chiedere perché Morandi non abbia utilizzato più stralli. Penso sia un po’ come domandare: perché la SIP nel 1967 non mandava a casa degli italiani il Samsumg Galaxy S8, o meglio, il SIP Galaxy S8?
Semplicemente non c’era la tecnologia, negli anni ’60, né per il SIP Galaxy S8, né per il Ponte sul Polcevera a 22 stralli.
Quando dico tecnologia mi riferisco, oltre a quella dei materiali, anche alla capacità computazionale: i calcoli strutturali, negli anni ’60, venivano sostanzialmente eseguiti con carta e penna e con l’aiuto di modelli fisici.
L’inserimento di ulteriori stralli, tenuto conto l’altissimo contenuto tecnologico che già possedeva il Ponte sul Polcevera, avrebbero complicato oltremisura il calcolo, la metodologia di messa in opera e la leggibilità della struttura, riducendone quindi anche la sicurezza. Personalmente credo che il livello di sicurezza del Polcevera, in quell’epoca, fosse inversamente proporzionale al numero degli stralli.
Il ponte Morandi era quindi, oltre che un’opera infrastrutturale, un prototipo.
Il senso della sperimentazione
Questo l’esperimento: tentare una soluzione rivolta ad ottenere degli stralli (in cemento armato precompresso, appunto) più sicuri, meno costosi e più durevoli di quelli in acciaio. Non era mai stato fatto prima.
La realizzazione in quegli anni delle grandi opere di cemento armato, ed in particolare il Ponte sul Polcevera, costituisce un passo importante nella grande sperimentazione del cemento armato. Una sperimentazione necessaria, ambiziosa e molto delicata che avrebbe dovuto definire i limiti di utilizzo di questo materiale.
Ogni ponte costruito in quegli anni è un provino in questa sperimentazione scientifica, tecnica ed artistica, di durata secolare, una staffetta nella quale in ogni decennio ci si sarebbe dovuti passare il testimone. Il problema della sperimentazione del Ponte Morandi è che, ad un certo punto, pare non esserci stato nessuno a reggere il testimone. Eppure era uno dei prototipi più importanti e delicati della grande sperimentazione del cemento armato.
Se il Ponte Morandi può effettivamente essere definito un fallimento dell’ingegneria, lo è dell’ingegneria di oggi e non certo di quella degli anni ’60, che rimane una delle epoche più riuscite ed affascinanti dell’ingegneria italiana.
Prima di chiudere, vorrei contribuire a sfatare una credenza.
La cieca fiducia degli anni ’60 nel cemento armato
Si dice spesso che negli anni ’60 si fosse riposta una cieca fiducia sulle possibilità del cemento armato. Non credo sia vero: c’era speranza, che è diverso, e la speranza, come si sa, non è mai cieca.

Figura 10 – La Terra vista dalla Luna – Missione Apollo 8 (1968)
Leggendo le parole dei grandi progettisti e sperimentatori del cemento armato degli anni ‘60 e, ad esempio, il bel libro scritto da Pier Luigi Nervi Scienza o Arte del Costruire?, ci si trova davanti a frasi tipo “Pur riservando ogni definitivo giudizio agli inappellabili risultati dell’esperienza (…)”, oppure “Per quanto le prove siano state estese ad un buon numero di elementi, con risultati costanti e chiaramente probatori, l’argomento può considerarsi appena iniziato, se pure con ottime premesse”.
Insomma, credo che dei Professionisti come Pier Luigi Nervi o Riccardo Morandi non abbiano mai pensato di riporre la propria fiducia in un materiale, il cemento armato. Ritengo più plausibile che, da discreti umanisti quali erano entrambi, la abbiano riposta, erroneamente, nell’uomo. E in questo non ci hanno di certo visto lungo.
Studio Nikuraze
6 Comments
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Grazie di cuore per l’articolo sul ponte morandi
Dilatare spazi e tempi di lettura dei fatti dare spessore alla lettura ordinariamente piatta che oggi è dominante è significativo e sicuramente utile.
I modi educati e chiari seguiti per affermare aspetti sostanziali e purtroppo ancora non emersi nella elaborazione di questo dramma da parte nostra (di italiani) è impagabile quanto necessaria.
La scelta di questo modo chiaro e fermo di esprimere questi fatti è qualificante
Non arrendetevi
Un caro saluto
Stima e simpatia
Maurizio riboni
Great writing, I ask permission to translate into Spanish, please as a service to the Spanish speaking community. The Morandi Bridge collapse was a tragic event, I’m a structural engineer from Mexico, I knew the bridge in 1997 in a backpacking trip with my wife, and follow and admire the Morandi work since. thanks for the article and regards from Baja California, northern Mexico.
L’articolo risulta ineccepibile: chiaro, documentato, interessante! Per chi sa poco o niente di Riccardo Morandi è la bella scoperta di una inusuale figura di “ingegnere innovatore”, da contrapporre alle assai più frequenti figure di “ingegnere costruttore”. E, come ben puntualizzato nell’articolo, l’affermazione di una idea innovatrice è il punto di arrivo di un percorso tortuoso, quasi sempre raggiunto dopo aver superato molti ed inaspettati ostacoli. Ma ricordiamoci che ai tempi nostri l’innovazione è la sola strada per affermarsi: è obbligatorio superare la tradizione! Buona fortuna!
Grazie mille per questo articolo.
Ho solo una domanda: i moderni, che forse di questo esperimento non sapevano abbastanza, potevano evitare il disastro o no? Possiamo ascoltare i Kraftwerk facendo in modo che non facciano danni o dobbiamo assistere impotenti? Appurato che si trattasse di un esperimento, abbiamo colpe circa il modo in cui è stato mantenuto o no?
Complimenti, un bellissimo articolo.
E complimenti anche per l’aver citato i Kraftwerk, che ho visto dal vivo di recente e di cui custodisco gelosamente i vinili.
complimenti, ottimo articolo. prof. marco savoia